La consulenza praticata dalle banche ai propri clienti è senza dubbio in conflitto di interessi, in quanto i consigli il più delle volte sono finalizzati alla vendita di un prodotto finanziario distribuito dall’istituto di credito stesso
La consulenza praticata dalle banche ai propri clienti è senza dubbio in conflitto di interessi, in quanto i consigli il più delle volte sono finalizzati alla vendita di un prodotto finanziario distribuito dall’istituto di credito stesso e sul quale si incassano laute provvigioni in caso di investimento del cliente. Molti risparmiatori, già scottati in passato dalle pratiche poco trasparenti adoperate dalle banche, hanno sempre meno fiducia nella consulenza e nei prodotti venduti dagli istituti italiani.
Secondo quanto emerge da un recente sondaggio di IPR Marketing, effettuato per conto di Plus24, il 60% degli italiani ha poca o nessuna fiducia nella banca, nel momento in cui vengono proposti prodotti di investimento. In particolare, quasi un italiano su due ritiene che l’addetto di turno, quando propone un investimento finanziario, sia spinto da motivazioni legate ai bonus versati per il collocamento di quel prodotto. Insomma, un chiaro segnale di conflitto di interesse.
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Un punto controverso in tema di trasparenza nell’ambito della consulenza praticata dalle banche arriva dalla compilazione del questionario Mifid, che serve per identificare il profilo finanziario del cliente (tolleranza al rischio, obiettivi di medio-lungo termine, esigenze di famiglia, etc.). Secondo Luigi Guiso de Il Sole-24 Ore, “affidare agli intermediari la classificazione della clientela è come concedere a un rivenditore di motorini di fare gli esami della patente ai 16-enni”.
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Plus24 de Il Sole-24 Ore suggerisce di affidare la compilazione del questionario Mifid a un ente indipendente, come i Caf o anche ragionieri e commercialisti. In questo modo, il risparmiatore può recarsi in banca con un documento chiaro sulla propria situazione e ottenere la consulenza più adatta alle proprie esigenze finanziarie.
